GRANGANGA

...quel gran sapore della coca in bottiglia

8.3.06

sconnessi


1-Mara
Mara era lì. Accovacciata nell'angolo più buio della sua stanza come un onesto bacarozzo che non chiede molto alla sua esistenza se non di essere lasciato in pace ed evadere la tassa sui rifiuti solidi urbani, rifletteva senza sosta sul dubbio più importante della sua vita:
“Quando cerco gli stronzi ci metto impegno o mi viene naturale?”.
E mentre si scervellava, dava un occhiata alla finestra. Uno stupido giorno di Maggio, quelli senza sole con molto caldo. Lento e distratto, il suo sguardo si abbandonava sulla vicina che dava l’acqua alle piante finché venne scossa da un fremito. Non degnò il suo corpo del minimo stiracchio e fu subito fuori dalla porta portandosi dietro i “Fanculo” del padre, per niente soddisfatto di lei e delle caramelle che aveva comprato: troppo morbide e senza zucchero. Due autobus con lo stesso numero sfilavano davanti a un nugolo di gente scoglionata. Le venne il dubbio se scegliere il primo, più affollato, o il secondo, vuoto, col rischio però di perderli entrambi. Salì sul primo e quando i suoi anfibi toccarono la vettura sentì qualcosa di strano nell’aria: puzza di controllore! Il bus continuò il suo tragitto e le vecchiette giravano come trottole impazzite, rapide palline in una roulette chiamata 87 barrato. Una volò in braccio a un ragazzo che qualche anno dopo l’avrebbe sposata. Il controllore arrivò a destinazione. Mara tirò fuori la sua sfolgorante tessera sciogliendo il sorrisetto maligno del funzionario Atac e tornò ai suoi pensieri. Erano solo le 16 e già la pesantezza di quel Lunedì le sembrava insostenibile. Scese dal bus assieme a due strane figure, “Niente da invidiare ai miei cugini abruzzesi”, pensò.
Era in una zona che non conosceva. O quasi…
“Mi scusi signorina Via della Pappardina?”
“Non so, non sono della zona” rispose Mara a uno dei due figuri vestiti di nero con quel caldo da internazionali di Tennis.
“Cerchiamo un bar...”
“Le ho già detto che ...”
“Suvvia ci dica almeno la capitale del Niger!”.
Mara conosceva questo modo di fare, non erano mica i primi seguaci di Ionesco a cercare il rimorchio attuando l’inconsueta pratica del non-sense. Sarà che lei faceva questo effetto. Nessuno si sognava mai di attaccare discorso con un semplice “Scusa, che ore sono?” o un più azzardato “C’hai una sigaretta?”. Una volta le si fece avanti un ragazzetto che la fece partecipe di un suo cruccio “Odio Mariah Carey, a chi posso rivolgermi?”.
Erano le 16-30 e Mara non aveva fatto ancora nulla. Nulla di quello che si era riproposta. Camminò ancora, finché non arrivò ad una grande piazza. L'odore degli alberi era vicino e questo la rincuorò insieme al fatto che i cd di Battiato esposti nei negozi erano a metà prezzo. Assaggiò gli ultimi metri di marciapiede come fossero budini al cioccolato e si diresse verso il palazzo che le ricordava qualcosa: era bianco e rosso e alle finestre gente serena guardava in strada per vedere se il livello di anidride carbonica avrebbe raggiunto la soglia limite. Mara aveva finalmente individuato la strada giusta, ora la sua memoria era davvero qualcosa di cui andare fiera. Eccola fermarsi d’un tratto a un semaforo.
“Spingi il pulsante sennò nun passi” le suggerì un boretto che indossava il suo bomber come qualcosa di estraneo, simile al cappottino che mettono ai cani quando fa freddo. Mara attraversò la strada e si rese conto che una ragazza carina come lei non si vedeva nel raggio di un chilometro. Soddisfatta della considerazione pensò seriamente di affittare una casa lì, un giorno forse...
E poi lo vide... Il fiore del male
“Che cazzo è il fiore del male? Io lo conoscevo come Bang Bang Tossic Boy!”.
“Sa cosa vuol dire cambio di gestione signorina?” le chiese il barista.
“Sì, è un po' come cuore spezzato e sogni infranti”
“Per così poco?”
“Puoi chiamarla nuova gestazione, mostro!”
“Piano fanciulla io sono solo l'uomo della birra i soldi li prende un altro, perciò abbassa il tuo ciuffo giustiziere e veniamo ad un accordo...cosa cerchi?”
“Gli spettri del passato!”
“Non è meglio una Guinnes?”
E così Mara e il ragazzo si sedettero a un tavolino.
“Non mi piace chi ha dei segreti...”
“L'unico segreto che ho è il mio shampoo.” rispose Mara.
Due furtivi avventori vennero a reclamare la loro razione dì alcool quotidiano.
“Damme ‘na Ceres e a lui mezza scura”
Mara osservava il suo amico preparare le birre e poi notò qualcosa, qualcosa che la fece lacrimare come un violino.
“Quello specchio. Vidi lì la mia immagine riflessa, la mia e quella di Marco abbracciati la prima volta”
“Io invece sono Livio e lo specchio…boh c’è sempre stato”
“Mara”
“Venivi spesso qui ... prima?”
“Una sola volta e mi è bastata”
Mara si rese conto che non le piaceva piangere in pubblico, o meglio le piaceva solo se era consolata all’istante e Livio ancora esitava.
“Hai un kleenex o una casa accogliente?”
“Tutti e due, cosa prima?”
Mara non rispose, si armò di cellulare.
“Non torno!” disse e soffocò le urla dall’altra parte con breve gesto del pollice. Tasto rosso.
“Fatto! Allora quando stacchi?”
“Non prima dell'una”
“Ho tempo”
E così Mara si immerse in un divanetto rosa shocking e giunse alla conclusione che lei gli stronzi li trovava in modo naturale. Specialmente negli stessi posti.

2-Paul
Paul non trovava giusto conoscere troppe persone. A chi dedicare quella parte di sé tenera e fragile e a chi quella fragile e tenera? Era meglio restare chiusi in casa che affogare in quelle feste, nauseati dai profumi delle ragazze e dai loro sguardi snob, rintronati da musiche modaiole e accattivanti, sobillato da superalcolici, lusingato da invitanti scollature e inevitabilmente sconfitto da coetanei del tutto compresi nei loro ruoli di addominal-muniti. Lui si sentiva come nessun altro e la sua “unicità” era quella di non voler assomigliare né al peggiore, né al migliore degli uomini. Quanto al peggiore poi aveva uno spettro molto ampio in cui sistemava le più disparate categorie di essere umani, fatta eccezione per qualche cassaintegrato e due o tre giocatori di Tennis. Quando suo padre gli comunicò che suo fratello stava male e che forse tra di loro si sarebbe interposta una brutta malattia lui fissò tutta la sera il riso al burro che gli giaceva davanti e vide nel riso tutto il suo futuro, quello di un ragazzo al quale la vita sorrideva di rado e semmai a denti stretti.
“Mio fratello Fabio è ancora vivo e anch’io me la passo bene”
“Ma scherzi?” gli diceva il suo migliore amico, lo slavo Suk “Tu non ha donne, tu solo, sfigato come me!”
“Forse, ma non è una gran consolazione…”
“Non capisci niente, se continui così farai la fine di Rick Astley!”
“E tu che ne sai di Rick Astley?”
“Scomparso ... in fumo ... come tutti cantanti inutili che vanno bene per un anno o meno, seguono moda e poi puff... spariti”
“Bè io non ho mai fatto neanche un singolo, sparisco prima ancora di cominciare...”
E andavano avanti così per lunghe giornate. Suk lavorava in biblioteca, almeno così diceva, e voleva bene a Paul perché avevano i nomi simili secondo lui. Paul stava bene con Suk e anche col fratello, per il resto le possibilità di incontrare qualcuno si riducevano a:
1) Il Portiere
2) Un vecchio compagno di scuola. (Ma Paul avrebbe abbassato gli occhi facendo finta di non conoscerlo)
3) La vecchia nonna in visita alle 8 di sera.

Una sera Suk invitò il suo amico a bere qualcosa. Quando Paul se lo trovò davanti assieme a una ragazza cercò il punto più lontano da guardare e non staccò gli occhi da lì per molto tempo. Quel punto era un poster in cui una pinta di Guinnes dal volto umano prende a calci un poliziotto inglese. Nell’immaginario di Paul si sovrapponeva la sua immagine prendere a calci Suk.
“Quello stronzo mi ha fregato!” si ripeteva sempre più affannato. “Se si tratta solo di bere qualcosa va bene, ma poi ... cazzo come è bella quella lì!”. Dal canto suo Suk aveva in mente un piano diabolico: “Far scopare Paul: Ora o mai più!”. Paul lo immaginò come un malvagio essere della letteratura gotica, chiuso nel suo castello mentre fuori fulmini e tuoni imperversano. Al suo cospetto vedeva comparire la ragazza che aveva davanti, classico vestito da servo del male: Lungo mantello nero, volto da vampira, leccaculismo tipico dei servi del male.
“Hai capito? Te lo devi scopare!” ringhiava il demone slavo
“Sì, mio signore. Sarà fatto”
“Mi raccomando non devi sbagliare”
“Non t’ ho mai deluso mio signore…”
E come una regina Himika di Tor Pignattara si inginocchiava davanti al principe delle tenebre. Ma senza pompino perché in fondo quello è il sottotesto.
“Non mi dire che un bel ragazzo come te non è fidanzato.Come è possibile?” faceva lei a Paul.
“Co…come?” rispose Paul che a fatica mise a fuoco la sacerdotessa delle tenebre mentre
balbettando minchiate il suo sguardo lasciava la presa e andava a dirigersi sulle sue grandi tette.
“E’ che.. non trovo quella giusta!” ribadiva Paul, mentre la testa si faceva pesante, trainata dagli occhi ormai decisamente avvinghiati alle bocce di Teresa. Il tiro alla fune tra collo e occhi sembrava non avere vincitore. E la testa di Paul compiva patetiche rotazioni simili a un mentecatto che prova a fare yoga. Quella ragazza lo eccitava e mentre voleva dirle di no qualcosa lì in basso sosteneva il contrario. La sua fronte produceva goccioline che un profano avrebbe chiamato sudore ma che paradossalmente non scendevano, bloccate, quasi congelate ad aspettare il da farsi come un bambinetto impaurito di fronte agli scivoli di un aquapark romagnolo.
“Il mio amico Paul scrive poesie...”
“Davvero?” ovviamente Teresa.
“Sì” abbozzò Paul “Ma sono cazzate”
Se la conversazione assumeva ormai toni agghiaccianti, il corpo di Paul si contorceva come se in un impeto di follia erotica volesse tendersi a mò di arco dei tiratori inglesi in “Braveheart” e scagliarsi come freccia all’indirizzo di quella fica dell'amica dello slavo. Poco scozzese, ma già molto indipendente.
Teresa andò in bagno e Suk fece cenno a Paul di seguirla con un sorriso che esprimeva gioia perché di lì a poco non avrebbe avuto più amici vergini.
“Ma dove l’hai raccattata questa? E’ più mignotta di una moneta da un euro!”
“Vai!” lo spinse il Kusturica di Tor Marancia.
Quando il povero ragazzo si avvicinò al bagno sentì addosso il peso del condannato che va all’esecuzione. Quel simbolo sopra la porta della toilette che convenzionalmente permette al genere femminile di distinguersi da quello maschile nei momenti più intimi, gli appariva ormai come la stilizzazione di un boia con la gonna. Aperta la porta, due labbra grosse e morbide lo risucchiavano verso l’ignoto mentre una mano sottile gli sbottonava i calzoni con l’irruenza di un leone pronto a divorare la preda. Paul non smetteva di pensare al perché di tutto questo. Perché fosse costretto a lasciare la sua intimità in un cesso in compagnia della prima venuta, perché al suo amico stesse tanto a cuore quella sua squallida scopata e infine perché il suo cazzo sembrava un turista che ha perso il biglietto d’aereo e si dispera all’ufficio informazioni.
“Teresa scusa ma non mi va!”
“Perché?”
“Perché scrivo poesie”
“Che c’entra?”
“Un giorno capirai che tutti quanti prima o poi si fa la fine di Rick Astley ma io non ho fretta di fare uscire il mio primo singolo, non ho bisogno di “Never gonna give you up!”
Teresa basita pensò a un ventaglio di ipotesi. Frocio e malato mentale si contendevano il primo posto, seguiti a ruota da impotente, vegetariano e seguace di quella setta lì…
Scappò via con Suk destinando a lui il magnifico regalo che si era tenuta in serbo tutta la sera. Paul rimase davanti ad una birra, indovinando nelle bollicine il viso della ragazza che avrebbe amato. Ma le bollicine salivano verso la dolorosa schiuma in cima al boccale. La schiuma annegava tutto in una bianca e confusa materia che a volte traboccava a volte no. Finché un volto di donna fece capolino in mezzo al bianco spettacolo e ai suoi pensieri.
“Che hai? Sembri triste..”
“Lo sono”
“Anch’io ma non me ne accorgo neanche più”
“Sono talmente triste che quando taglio le cipolle piangono loro!”
“Anche spiritoso il bimbo! Io sono Mara.”
“Paul”
“Sei un altro stronzo?”
“No. Ma ho anche altri pregi”Fu così che Mara e Paul capirono insieme che “Il fiore del male” non aveva una gran birra, ma gli esemplari umani che transitavano tra i tavolini di legno erano di prim’ordine.

  • superflu
  • posted by kapola @ 1:30 PM